Scopa con un’altra, ma vuole lei

Falla un’esperienza diversa. No, non insolita. Diversa. E allora una sera ti ritrovi attorno ad un tavolo. C’è allegria. Si ride anche per nulla.  Chi fuma, chi beve.
“Ma perché non saliamo, andiamo a veder cosa c’è?”. I piedi sui gradini mi portano su. Un pianerottolo circondato da un muro. In mezzo una finestra così grande che lo spettacolo lo prende proprio tutto.
E mi metto con la fronte sul vetro. Mi perdo a guardare le lucine che ci sono giù. Perché così non le sento le bugie che mi sta dicendo. Odio quando mi mentono.
Mi fanno diventare quella ‘forte’ che non sono. Reagisco male quando non mi si raccontano le cose giuste.
“Ho scopato con un’altra”. E va avanti. Dicendo che l’ha fatto perché era triste. Perché io ero via. “Coi tuoi amici, che non mi presenti”. Balle su balle. Ma sono frecciatine che mi tormentano.
Che sia andato a letto con un’altra non mi importa. (Sì, mi importa). Mi ferisce che me lo dica. A che pro? “Se è così, puoi scoparci quanto vuoi, finché vuoi. Ma con me hai chiuso”.
Solita frase. Da donna arrabbiata. Che non vuole nemmeno ammettere quanto male le faccia la situazione. Tutta la situazione. Non solo la scopata di una serata.
Ma il non essere per davvero ascoltata. Poi mi si dice che divento sempre più cinica. Quanto mal capire. Non lo sono, ma lo faccio.
Perché dentro di me, credo alle storie belle. Non dico alle favole. Quelle posso scrivermele da sola. Non con terze persone.

E ora, che si fa? Che fareste?
Curiosa di capire le varie reazione.
Sempre vostra LaP

trovane una che

Bolla per due

Meglio le cose non decise, da quelle programmate.
Programmi una serata. Finché attendi ti lasci cullare. Sono le aspettative che ti coccolano. Ti prendono per mano e ti portano all’ora ‘x’.
E poi non è mai come avevi pensato. Tutto cambia. Tutto è diverso.

Entri piano nella casa. C’è penombra. Non è la prima volta che ci metti piede. Non la conosci ancora bene, ma sai come muoverti. Tenti di respirare, ma qualcosa blocca. Non esce quell’alito che speravi. Scrolli le spalle e cerchi di non pensarci.
Afferri il calice. Il vino nero promette di rilassarti. Ed è così. Qualcosa si scioglie. Senti il peso dalle spalle che se ne va e alzi lo sguardo verso la finestra. E li vedi.

Li guardi. L’espressione sui loro visi sono l’immagine di un segreto. Da non raccontare a nessuno. E continuarli a guardali. Una mano tra i capelli, finché li afferra forte. La testa indietro, alza il volto e ti specchi. Sei nei suoi occhi. Vi guardate e leggi tutto quello che passa nel suo sguardo. Afferri i suoi pensieri. Sono i tuoi.
I suoi gemiti, sono i tuoi. Finché i capelli scivolano ancora. Non lo vedi più quel volto. Ti passi una mano sul viso. Profuma di basilico.

Notti. Che ti fanno svegliare strana.

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Diglielo

Giocando a far la donna, sui tacchi. La vedi come è incerta? Ma le è andata bene, ha infilato il braccio in quello di lui, andandosene tranquilla. Lo vedi lo sguardo di lui? Quel mezzo sorrisetto, mentre gli occhi brillano tutti?
Ho visto la dolcezza in quel frangente. Mi è sembrata di averla vissuta. Io al posto di lei, lui al posto suo.
Una pienezza come poche volte capitano. Anzi no, capita sempre nei primi attimi. E allora mi chiedo se lei sia consapevole di quanto stia vivendo. E’ la magia dei primi incontri.
Quelli fatti di buone maniere, di tempi dilatati, dove la fretta viene lasciata ai margini.
C’è tanta leggerezza in questa coppia, come la manica di camicia di lui arrotolata, appena al di sotto il gomito.
Ci vorrebbe giocare lei, col dito, a seguirne la vena sotto la pelle di lui. Ma non mi viene di farlo.
Seduti ad un tavolino, in mezzo a tanta gente, ma ascoltano solo se stessi. Mi sembra di viverla, ma per pudore allontano lo sguardo, lasciandoli nella loro intimità.
Perché so che poi si alzeranno da quel tavolino, si incammineranno, lei che si ferma di botto in cerca di quel telefonino che squilla invadente. Sta masticando parole, brontolando con se stessa perché non lo aveva messo in silenzioso. Ma smette di cercare a casaccio nella borsa, perché sta fissando la sua di pelle ora.
Osserva i puntini, come stesse rabbrividendo, ma non ha freddo. Sono stati pochi secondi, tutto è stato veloce. Lui si è già scostato, ma lei sente ancora il tocco caldo di quel bacio sul collo. La mano di lui, che prima aveva scostato i capelli ora sta sulla spalla. Ma lei è rigida: non ha coraggio di girarsi. E il braccio torna a riempire lo spazio tra loro due.
Ancora non mi viene di farlo. Non ho fretta, sto sgomberando il campo.
Poto rami secchi o che avevano alcun bocciolo da far fiorire.

Il mattino seguente, quel buongiorno di lui. Ci ha riflettuto lei, su tutto e su niente. Ci sto pensando e dovrei essere quanto più onesta con me stessa. Non con gli altri.
Non è il mio momento, questo. Balle, è che di vivere un impegno, lei intendo, anche se leggero, ora non non le va. Ho capito solo questo.

l4P

Le palpatine, in mezzo alle cosce e non al cuore

Se dalle mani vi scivola una cosa, cade a terra e si rompe irreparabilmente. Che fate? Raccogliete il tutto: scopa e paletta, poi nel sacco dell’immondizia. Giusto?

Bravi. Ma come valutate se quella cosa, per voi, è irreparabile o meno? Quali e quanti tentativi fate per cercare di aggiustare, o magari lasciate che siano gli altri a farlo?
Perché sta lì, la vostra decisione, no? Decidere se quella cosa la volete ancora, oppure no. Perché se la risposta è negativa, la potevate buttare via (la cosa) ancora prima che si rompesse, giusto?

Perché il tutto sta nell’essere sinceri (almeno) con se stessi. E boh, c’ho per la testa una situazione, che ravana, ma ogni risposta che trovo non mi soddisfa. Poi dico ‘sti cazzi’.

Passo oltre e torno su ciò che mi turba veramente. La mancanza di lealtà. Mai stata una campionessa, sia chiaro, se non lo preciso. Nel senso se vengo da te e ti dico ‘contaci’, allora ci puoi contare. Diversamente no. Puoi solo affidarti alla mia proverbiale sbadataggine, che mi fa dimenticare nomi, ma non situazioni, che ritornano a mente (con tanto di nomi) se mi fai innervosire.
Mai usato tutto ciò per sputtanare una persona, sia chiaro. Ma per farle del male sì. A carte scoperte, tra l’altro, guardando in faccia, perché voglio vedere i risultati.

Passo avanti.
La si deve smettere di pretendere troppo da me. Perché divento nervosa.
La si deve smettere di venire da me, solo quando si hanno problemi. Perché io non ho la vostra soluzione.

Passo indietro
Mi manca blogspot, la mia coperta di Linus. Dove posso scrivere senza filtri. Ma sto resistendo alla tentazione di tornarci.
Mi manca ‘dialogare’ con persone che non hanno ancora un viso, ma che conosco da anni.
Un ventaglio di umanità, che pesca aria diversa, da ogni ambiente: dal fornicatore romagnolo, all’escort milanese, alla cuoca piemontese, alla stalker pugliese. E ancora altre centinaia di persone, che si sono sommate negli anni, che riconoscevo dal primo rigo scritto. Le email prolisse, scritte dal fotografo portoghese. La ritrosia lombarda d’un ragazzo che..
Dal bugiardo seriale, alla moglie che non sapeva che farne della bella casa e metteva corna su corna al marito troppo impegnato a rincorrere il suo lavoro(ah caro, se leggi, perché so che ci sei arrivato anche qua, ringraziami pure alla fine).

So che non si finisce mai di imparare, ma tanto ho appreso in questi anni di rete. Ti porta un po’ ad annusare le personalità, intuendo pressapoco chi sta al di là di un monitor.
E come dimenticare la fase ‘x’?Quella che mi ha aperto gli occhi, mettendoci una benda sopra. Impossibile annullarla. E non voglio farlo.

Ho assimilato molto. Ho girato città per conoscere, poi, chi mi andava. Ho fatto esperienze, diventando una fedelissima di booking.com, senza storcere il naso alle tremende ‘sole’ che mi ritrovavo. Ho imparato a scrollare le spalle. Poi se si scrollava altro, male non era no?

 

 

Venti centimetri

Lei sulla seggiola, porta le ginocchia al petto, le abbraccia poggiandovi sopra la guancia.

Lui che le passa una mano sulle spalle, sicuro e dolce. Le parla.
Non c’è il sonoro.
E cerco di scrutarne il racconto sui loro visi. Lui due occhi seri, forse troppo, che la guardano. Ma scherza. Una smorfia e scoppia a ridere.

Lei poggia i piedi a terra, tutti e due assieme: mi piace lo smalto che ha. Sì decisamente mi piace.

Stanno uno di fronte l’altro, entrambi a piedi scalzi, “quanto è alto lui”. Le svetta di buoni venti centimetri, portando lei ad allungare il collo indietro, leggermente inclinato a destra.

E finalmente abbasso il viso, i capelli mi scivolano avanti. Sento una mano scorrere la mia nuca.

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Troppi trofei e poche verità

Non  mi sento né confusa, né sicura. Penso sempre di essere arrivata a capire che la qualità deve fare parte della mia vita, ma è un obiettivo che tradisco ogni santo giorno.

Eppure ci tengo a far le cose per bene, sono sistematica, non scaramantica, viziata dalla pancia più che dalla testa, ma che di fondo è sempre padrona.

Mi perdo nelle vite degli altri, forzata dal maledetto vizio di volere ascoltare, osservarne la mimica, capire quanta falsità si cela in uno sguardo diretto.

Siamo autorizzati ad essere cinici? Non lo so, ma lo siamo. Lo sono, anche se non troppo convinta ma, o per pigrizia o per miei limiti mentali, non so in quale altro scomparto mettere un atteggiamento che oscuri la fragilità.

Troppi trofei e poche verità. Che ti rendono determinata, il bersaglio facile e comodo di chi non si vuole scomodare a mettersi in gioco con te, con me, con tutti.
Troppe chiacchiere che lasciano il vuoto, spingono in direzioni così sbagliate. Ma me ne faccio una ragione, ci penso poco ma così spesso.

Cerco un argomento che mi accenda, so che lo troverò. Ma non è così importante raggiungerlo, così incostante per esserne soddisfatta, lo getterei via dopo pochi minuti.

E ti affidi ai ricordi del passato, non sempre fiero ma certo, perché nella tua vita già c’è stato.
Pessimo errore, che ti fa sbattere contro il tuo futuro, senza riconoscere la tua nuova giusta occasione.

Non sopporto i bugiardi seriali. Che poi diventano ovvi e scontati, perché nel frattempo ho fatto a tempo ad assimilare il cambio d’espressione del viso, che precede l’ennesima non verità.
Perché? Cosa vi costringe a darmi una bugia, se non vi ho chiesto né un respiro né un battito.
Mi disfo di ogni possibile catena, non sopporto alcun gioiello regalato che sta a prendere polvere in qualche angolo della mia camera.
Mi spavento alla vista di un mazzo di fiori, steli e petali che nascondono la ricerca di un sentimento che non potrò ricambiare.
Soffoco sbadigli di fronte alla consuetudine, che mi leva l’ossigeno, che mi fa prendere per mano borsa e sciarpa ed allontanarmi alla svelta.

Non tradite mai un mio sorriso, non usate strategie con me, bloccate la vostra solitudine perché non potrò mai succhiarvela.

trovane una che

Ho bisogno di Primavera

Mi sto disaffezionando alla gente, a quella gente che riempirebbe la saletta di un qualsiasi psicologo. Gente che vibra sui social smuovendo le propria dita sulla tastiera, mentre mi chiedo se nella vita  un dito per aiutare una persona lo muoverebbero.
Persone che versano parole su parole, che s’improvvisano tuttologi, indossando  il camice di  dottore con specializzazione in neurochirurgia,  mentre scannerizzano ogni singola movenza del figlio di Trump nell’ennesimo video che gira in rete.
Persone che nelle loro 24 ore, maggior parte delle quali di fronte ad un monitor, con assoluta noncuranza danno della troia ad una donna che non conoscono, detengono l’onniscienza della nostra politica malsana, ma che non  fanno nulla per cambiare le cose.
L’invidia si alimenta sui social, così tremendamente democratici perché si può dire tutto a tutti, fregandosene se vai ad incrinare una certezza, allargando insicurezze.
Fa nulla, vige il sacrosanto diritto di sputare sentenze e critiche, illuminati dalla luce fioca del monitor.

Non c’è buon gusto, manca il rispetto, latita l’auto ironia. L’importante è parlare bene di se stessi, considerando persone di poco conto e incapaci di far bene gli altri.
E se per caso ti dovesse balenare per la tua adorabile testina il pensiero di  dire “bhe ma a me i cani non piacciono”, fermati per l’amor di dio. Non verresti capito lo sai no? Eppure tu che comprendi il legame d’un proprietario col suo cane, non puoi dirlo esplicitamente che dentro a te sta cosa non smuove.

Nel 2016 ci son stati 120 femminicidi. Negli ultimi 10 anni 1600 bimbi sono rimasti orfani di madre per questo. Brividi per questo genere di numeri. Sembra che a volte ci si improvvisi nella vita, confusi e deviati dalla propria rabbia che ti fa macchiare le mani di sangue.
Chi e dove e perché ha deciso che si può essere padroni della vita altrui? Restano nell’aria che respiriamo ogni giorno le urla e il dolore di queste donne, i pianti di questi bimbi.

Troppi drammi fustigano le famiglie, nel luogo dove tutto dovrebbe essere protetto ed accudito. Quante violenze fisiche e verbali, censurate al pubblico, si consumano in una casa?

Pochi giorni fa una donna mi disse “gente vien da me perché ridia a loro la vita di un tempo, cosa ne pensi?”. Penso che no, è illusorio, è utopistico promettere il passato. “Non lo rivorrò  mai un passato, seppur bello, che ha comunque generato un presente sofferto”.

Ruoli. Mai come in queste ultime settimane ho affrontato, volente o nolente, la gestione dei ruoli, a volte palesando una confusione degli stessi. E allora prendi un foglio bianco, una penna e provi a tracciare un bilancio, cercando di essere onesta nel scrivere frasi che ti fan male.

Altro giorno ho detto ad una persona “Mi sento confusa”. Nel mio ruolo di ‘stampella’, assunto un po’ recalcitrante ma dovuto. Il suo “non mollare ora” non mi conforta, vedo avanti me giorni di settimane e mesi di sacrificio. Convivo con la paura di sottrarre tempo al mio bene più prezioso, quel figlio che un perché grosso lo ha dato alla mia vita.

Certezze. Perché di fondo è così. Tutti le cerchiamo, tanti le vorrebbero scontate e dovute. Mi aggrappo a queste, consapevole che mai dovrò abusarne per non crearne dipendenza.

Cosa vorrei ? Poesia che chiedevo negli anni passati, parchi e villani in  tal senso. Ho chiuso porte con forza e determinazione,  a persone e situazioni che intendevano creare una propria esistenza a spese mie. No.
A chi mi ha giudicato, mal pensato e mal parlato, additato e offeso, svalutato e svenduto, posso solo dire che io ho la mia vita, che per fortuna, non è obbligata ad intersecarsi con la loro.
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LaP

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Parole vecchie ma mai abbastanza

E poi guizzare come topi nella metro
E tornare a casa, stanca, sudata ma serena.

Ho preso coscienza che cammino in un mondo di gente, a occhi bendata, affidandomi ai restanti sensi, che mi prendono in giro, lasciandomi  un gusto amaro.
Come Alice do la caccia ai conigli.
E cocciutamente non riesco a chinare la testa, per egoismo all’epoca, per voglia di sentire il vento tra i capelli ora.
(lui) sei diventata molto tollerante ultimamente, cosa che ero io una volta
(io) dici che sono tollerante?
Non è tolleranza, è voglia di non pensarci, di non affannarmi, di non caricarmi.
(lui) sei anche troppo furba
(io) già hai ragione te
La gente ha sempre ragione no? Sulle cose altrui è così obiettiva, così sagace.
Siamo tutti psicologi, tutti avvocati, tutti così bravi con la vita altrui.
Siamo tutti puttane a mio avviso.

Parole vecchie ma mai abbastanza

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Io Lago

Quante volte scivola sulla lingua con lo schiocco sul palato e lo fa proferire tra i denti?
Lago.
Un luogo, una circostanza, un sospiro.
Pronunciare la parola “lago” è il segnale di partenza di un viaggio, di attese e di emozioni.
Uno specchio che cattura il cielo nell’evoluzione dei suoi colori, che abbraccia con le sue coste alte e dure. Che  fa sentire sicura.

Lago, contenitore di piacere e di abbandono, a occhi chiusi con parole amiche che ti solleticano la mente, che ti accarezzano. Sunto di vita e di riflessioni, che posa una mano pacifica sulla mia testa e mi tranquillizza.
In riva al lago il gioco complice del sole allunga le ombre delle persone che vigilano, che nei miei difetti han trovato spunto di risate, senza giudicare.

Lago, vastità di piacere  di quella che ti scalda l’interno coscia, ti fa abbandonare la testa sul cuscino, col corpo e la mente in resa totale, mentre cola .

Quanti modi di fare mio il lago, luogo mio che ho tramandato a mio figlio, sposandone la sua natura introspettiva. Socchiude e stringe gli occhi mentre afferra il sasso che andrà a romperne la calma, in cerchi progressivi che s’allargano, come sarà il suo futuro.10626807_305109949682035_8265095967831952892_n

Oltre le stelle, c’è un posto migliore

Chiedilo a Marilyn
quanto l’apparenza inganna
e quanto ci si può sentire soli
e non provare più niente
non provare più niente
e non avere più niente
da dire.

(Brunori Sas – Kurt Cobain)

Scoperta poco meno di due anni fa questa canzone, accoccolata in una carrozza del freccia bianca, viso appoggiato al finestrino, persa nella mia immagine estranea riflessa e il panorama che filava via veloce.

Ci sono certe ciclicità che inderogabilmente tornano, mentre pensavi di averle accantonate.

Il Capitolo 7 è stato vissuto, vado per il Capitolo 9.
Sull’8 che dire, è andato tutto come previsto.
E mi rendo conto che se per certi versi il mio lavoro mi da ampio spazio, per altri mi va proprio un po’ stretto.