Tanti genitori hanno la merda nel cervello

Scusate, ma a me il bullismo manda in bestia.
E posso solo  dire ai mamy&papy di questi bulli in erba :”Ma quanta merda avete nel cervello?”.

M’è bastato davvero poco, l’ennesimo video dell’ennesimo bullo, ragazzotto di una spanna più alto del suo compagno umiliato a suon di pugni e calci, mentre i pecoroni (nda compagni) osservano. Anziché intervenire, filmavano la scena col cellulare che poi puntualmente è finita su Facebook.
Il caso a cui mi riferisco è d’oltreoceano, “Il bullo è figlio d’un prestigioso uomo d’affari”, recita l’articolo, ma io leggo “Figlio di un pezzo di merda che non sai crescere a modo un figlio”. Caso che avviene, purtroppo, in troppe scuole di ogni angolo del mondo.
E col crescere a modo un figlio, io sinceramente manco lo so come si fa, ma se oggi o domani mi venisse riportato del sedicenne, che mi gira per casa, in sfogo di questi atteggiamenti, mi chiederei dove ho fallito come madre.
Perché ne ho le palle piene di sentire certi miei ‘colleghi genitori’che si esaltano per le prodezze dei propri figli (soprattutto figlie), per come si sono incartati i prof, gli amici e bla bla.
So di non essere una madre severa, so bene che ho una flessibilità vergognosa per certi versi nei confronti di mio figlio, ma le scorciatoie non gliele do e nemmeno gliele insegnerò
Se un giorno vorrà fare il figo o il saputello, bhe quantomeno dovrà mettere in campo una vastità di personalità e di cultura costruito da se stesso, su se stesso, ogni santo giorno della sua vita.
Non voglio un figlio a mia immagine e somiglianza, tanto meno vorrò travasare in lui quelle aspettative di vita che non mi sono arrivate.
Lo vorrò (vorrei) libero. Un uomo fatto di concetti, di crescita, di rispetto accumulati con la sua fatica, ma non con prevaricazione.
Sto mettendo le basi per un uomo fallito e poco arrivista? Per me no. E se quei genitori, che tanto sgomitano al posto dei propri figli, la smettessero di fare i sindacalisti e tornassero a prender per mano le basilari regole educative, l’umanità intera ne sarebbe sinceramente grata.
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L’ignoranza di internet

Scorre a fiume sulla tastiera l’onniscienza. Tutti sanno di tutto.
Non c’è risposta che non si trovi, non ci sono limiti alle domande che si pongono.
Padroni del sapere, poco avvezzi della forma, che sfondano le porte del pudore, entrando a gamba tesa nelle vite altrui, puntando dita e schioccando parole dure o critiche.
E’ questa l’ignoranza che dilaga su internet, scalciando la scala che gradino dopo gradino, salendola, pone agli occhi di ciascuno l’orizzonte sempre più vasto e ampio del limite del proprio non sapere.

Un ascensore umano, così vedo io internet. Pigiando di livello in livello sempre più alto, mentre tenta di elevarti nella cultura più ampia, ricca di nozioni e informazioni, ti porta sù nell’olimpo del non sapere.
Ai quanti svettano dal loro alto, naso puntato ancora più sù, ignari consapevoli di quanto non sanno e nel frattempo giudicano. Parole messe alla rinfusa, travasate nel monitor, speranzose di esser colte e viste come indice di una persona che può e che sa.

Ma quando incontri queste persone dal vivo, poni loro un dialogo umano e concreto, capisci che non riescono ad uscire dal labirinto della loro mente. Tutto resta lì, in quel monitor, in una realtà fin troppo fasulla.

Ecco perché adoro la mattina fermarmi al bar, prima di iniziare a lavorare. Appena messo piede inizia il bombardamento di suoni e voci, reali. Ed è così bello percepire i colori delle conversazioni, le ironie nascoste, lo sguardo del tipo sempre arroccato sullo sgabello vicino al bancone, il sorriso del ragazzo che puntualmente non manca di augurare una buona giornata, la ragazza conosciuta da poco con la quale si parla già di uscire a mangiare una sera.

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Quale figlia tardiva di internet, ricordo la confusione dei primi passi, tirata a destra e a manca dall’arroganza che pulsava sul monitor.
Eppure col tempo un po’ si scalfisce il tutto, mettendo in atto una giusta cernita che fa bene personalmente, bandendo quell’aggressività ritenuta deleteria, fucina di inutili contrasti e battibecchi.
Quale fruitrice di internet, navigo con un codice tutto mio, sempre meno a vista, finalizzato a mio scopo. Perché son stufa di credermi più brava e più colta citando le parole di altri. Se le cito è perché le sento affini a quel mio momentaneo momento. Un  oggi che il domani quasi spesso ripudia, ma un domani che senza ieri non potrebbe mai essere.

Come non capisco l’arroganza dei paladini delle opere di bene: se bene vuoi fare, fallo ma non giudicare da chi la pensa diversamente da te.
Scorrono immagini e petizioni di gatti e cani, come chi solo palesa il proprio interesse avesse a cuore il loro bene.
S’incrina di dolore un monitor all’ennesima immagine del bambino coperto dalle macerie, a sapere che spesso e volentieri chi lo fa è per mettersi in pace una coscienza che colpe non ha, ma che vuol risultare splendida e caritatevole.
Non esiste la carità su internet, esiste la sua esposizione.