Scollati

Sono compressa. Da situazioni altrui, da attenzioni che hanno meno durata di quel famoso vasetto di yogurt in scadenza. Sto acquisendo l’abitudine di dare risposte prendendo il mio tempo. A volte proprio non rispondo.

Qualche giorno fa avevo l’occasione di rivedere una persona. A me molto cara. Che un tempo (forse) mi fece anche innamorare. Oppure credevo di esserlo, perché l’amore quello che ti fa sentire uno splendido gioiello anche quando sei solo bigiotteria (forse) devo ancora incontrarlo. Non ho mai avuto il bisogno di sentirmi dire ‘sei bella’ o ‘sei unica’. Perché quando mi viene detto mi scogliono al massimo: soliti medesimi appellativi che vengono riproposti alla donna di turno. E io turnista dei sentimenti non l’ho mai voluto essere o fare.

Comunque, dicevo: ho avuto l’occasione di poter rincontrare sta persona. Non sono andata all’incontro, non per via del lavoro che potevo anche programmare in maniera diversa, ma perché dentro di me non c’era quel guizzo che mi facesse muovere il culo.
A qualche ora dall’appuntamento cannato ricevo la sua telefonata. Una conversazione semplice, fatta tra due persone ora mature. Dall’altra parte non sento nervosismo , anzi. La sua voce era la manna che mi serviva quel giorno. Ritrovando una sorta di complicità, tarocca o vera che sia. Ci siamo ripromessi di vederci. Basta che non si viaggi sul passato. Il suo dire: “eri tu la persona giusta” non mi tocca più. Sono passati non so quanti anni da quando quello che c’era tra noi s’è frantumato. Per colpa di nessuno e di entrambi. Eravamo due calamite, ma i tempi non erano quelli giusti. Punto.

E riconsidero allora cosa sarà il mio domani. Se avrò ancora la voglia di rimettermi in gioco. E’ così snervante ricominciare. In più mi sta piacendo il mio essere senza alcuna persona a fianco.

Potevo andarci a quell’incontro. Sarebbe stato una sorta di appuntamento dopo un’estate che ho vissuto in un modo che non avrei pensato di vivere. Doveva essere un’estate da passare in due e invece no.

Ho chiuso un capitolo. L’ho fatto non semplicemente. Ma l’ho fatto giustamente. Passando un’estate come non avrei pensato: allegra e leggera. Libera. Ma ora mi sto innervosendo perché ricevo sua telefonata e messaggio ai quali non risponderò. Che senso ha tutto ciò? Che senso ha coltivare bugie (le sue)? Che senso ha credere in una cosa che non esiste?

Evitate la panacea

Rido, no sorrido. Perché mi accorgo che apro questo blog solo quando fa bisogno a me. L’ultima volta un anno fa. E niente, si vede proprio che io amo il freddo e che l’estate non fa per me.

Sarà sta altalena di meteo, un giorno caldo africano e la notte dopo che devo tirar su il lenzuolo per non sentire freddo ai piedi. Sarà che il caldo mi da’ noia e io divento lamentosa. E per non sentire la pesantezza lascio che la mia testa vada a rincorrere sogni. L’ultimo espresso a viva voce: “voglio andare vivere nel nord dell’Europa’.

Lì dove il sole ti accarrezza il viso senza fastidio, lì dove le nuvole si mettono in coda alle miei giornate ‘no’. Lì dove vorrei stare bene. Punto.

Rewind

Qualche giorno fa ho rivisto una persona che non vedevo da anni. “Sei più moderata”. Così mi ha detto e non mi sono posta il pensiero di chiederle il perché di una frase del genere.

Non sono per nulla più moderata. Sono sempre io. La solita. Che però si lascia andar meno nelle esternazioni, specie se provocata. Qualcosa nel tempo ho imparato: che apri bocca, voglia o non voglia, quello che si dice o viene strumentalizzato, oppure riportato male. Non sopporto il ‘sentito dire’. Voglio essere io la padrona delle mie parole verso qualcuno. Punto.

Bene, finora ho tergiversato. Potrei ora scrivere davvero quello che mi passa per la mente. Ma l’effetto che mi da’ sto foglio elettronico bianco è lo stesso che provai 12 anni fa. Quando vide la luce il mio primo blog: testimone unico di un grande passaggio della mia vita. Grazie a quel blog, credo, ho risparmiato i soldi di un terapeuta. Avrò fatto bene? Avrò fatto male? Boh.

Stavo riflettendo. Vorrei tanto scrivere un qualcosa. Non per me. Ma per gli altri: per evitare loro di fare le cretinate chi ho fatto. Le paure e le arrabbiature che ho vissuto. Le inculate che mi sono presa. Vorrei tanto, ma ancora non ho il coraggio totale di scrivere nero su bianco quanto cretina posso essere. Perché anche se lo so, non è che mi miglioro per il futuro: ci arrivo solo forse un pelo più preparata a certe situazione potenzialmente deleterie.

Quindi

Posso solo dirvi un paio di cose.

  1. se avete dei pensieri, situazioni che non vi portano alla felicità: evitate il fai da te, fatevi affiancare da uno bravo (ma non fategli la villa con piscina)
  2. se avete stessi pensieri e situazioni come al punto 1: adottate il ‘codice del silenzio’ con certe persone che non hanno alcun interesse a sentire i vostri discorsi.

Evitate insomma di farvi dire che siete dei rompicoglioni. Evitate di sprecare energie con persone che pensano solo a se stesse. Evitate di credere alle bugie. Evitate di essere la panacea dei mali altrui.

Evitate, evitate. E ancora evitate.

Andare via per tornare a me

Sbuffo. Mi tocco i capelli, tiro una ciocca e penso. Penso che voglio andare avanti da sola. Perché che il vivere senza sincerità mi irrita. E lo sottolinea una che della non verità ne ha fatto lo stile di vita.

Che fare di un bugiardo patologico? Che apre bocca e sputa l’ennesima boiata già sapendo che io non gli credo. Non ci si fa il callo a sta roba. Lo si lima ogni tanto, ma estetisti dei cazzi altrui mica lo possiamo fare per una vita intera.

“Noi”. “Compagni”. “Sto bene con te”. Mi sono sentita ripetere fino al vomito ste cose in sti ultimi giorni. Io seduta a riccio sulla mia seggiola. Lui al di là del tavolino. In mezzo a noi due birre, con la mia che avevo voglia di lasciare là e andarmene.
Andare via per tornare a me.

nata 3 volte

La prima, il 18 ottobre. Quando mammà mi partorì. E l’unica risposta, che mi sono sempre sentita dire, quando chiedevo ‘com’ero?’, è sempre stata: “non hai aperto gli occhi per tre giorni, pensavamo che avessi dei problemi”. Un racconto più asciutto della mia nascita non potevo desiderare: sarà per questo che nella vita ascolto e sollecito le persone a raccontarsi a me.
La seconda, l’8 dicembre. Di qualche annetto fa. Sono andata a vivere da sola, mettendomi alle spalle una vita di coppia nata quando avevo solo diciott’anni.
La terza, e ultima per ora. Il 12 settembre dell’anno scorso. Nove mesi fa. Sul letto di un ospedale ho realizzato quanto scema posso essere. A non chiedere aiuto. A volerci andare da sola al pronto soccorso, anche se avevo passato una notte d’inferno. I dettagli sono noiosi e quindi li evito. Ma lì mi sono sentita così piccola e impaurita. L’importante è che sia passato e che quell’ischemia resti solo una piccola parentesi di quella che, così voglio, dovrà sempre essere una grande vita.

A volte, fisso il nulla e mi chiedo: quando ancora il mio culo toccherà questa santa terra e mi rialzerò e rinascerò? Non vorrei che qualcuno mi avessi scambiato per un gatto perché, se la matematica non è un’opinione, me ne restano ancora 4. E io delle montagne russe vorrei anche fare a meno.


Scopa con un’altra, ma vuole lei

Falla un’esperienza diversa. No, non insolita. Diversa. E allora una sera ti ritrovi attorno ad un tavolo. C’è allegria. Si ride anche per nulla.  Chi fuma, chi beve.
“Ma perché non saliamo, andiamo a veder cosa c’è?”. I piedi sui gradini mi portano su. Un pianerottolo circondato da un muro. In mezzo una finestra così grande che lo spettacolo lo prende proprio tutto.
E mi metto con la fronte sul vetro. Mi perdo a guardare le lucine che ci sono giù. Perché così non le sento le bugie che mi sta dicendo. Odio quando mi mentono.
Mi fanno diventare quella ‘forte’ che non sono. Reagisco male quando non mi si raccontano le cose giuste.
“Ho scopato con un’altra”. E va avanti. Dicendo che l’ha fatto perché era triste. Perché io ero via. “Coi tuoi amici, che non mi presenti”. Balle su balle. Ma sono frecciatine che mi tormentano.
Che sia andato a letto con un’altra non mi importa. (Sì, mi importa). Mi ferisce che me lo dica. A che pro? “Se è così, puoi scoparci quanto vuoi, finché vuoi. Ma con me hai chiuso”.
Solita frase. Da donna arrabbiata. Che non vuole nemmeno ammettere quanto male le faccia la situazione. Tutta la situazione. Non solo la scopata di una serata.
Ma il non essere per davvero ascoltata. Poi mi si dice che divento sempre più cinica. Quanto mal capire. Non lo sono, ma lo faccio.
Perché dentro di me, credo alle storie belle. Non dico alle favole. Quelle posso scrivermele da sola. Non con terze persone.

E ora, che si fa? Che fareste?
Curiosa di capire le varie reazione.
Sempre vostra LaP

trovane una che

Bolla per due

Meglio le cose non decise, da quelle programmate.
Programmi una serata. Finché attendi ti lasci cullare. Sono le aspettative che ti coccolano. Ti prendono per mano e ti portano all’ora ‘x’.
E poi non è mai come avevi pensato. Tutto cambia. Tutto è diverso.

Entri piano nella casa. C’è penombra. Non è la prima volta che ci metti piede. Non la conosci ancora bene, ma sai come muoverti. Tenti di respirare, ma qualcosa blocca. Non esce quell’alito che speravi. Scrolli le spalle e cerchi di non pensarci.
Afferri il calice. Il vino nero promette di rilassarti. Ed è così. Qualcosa si scioglie. Senti il peso dalle spalle che se ne va e alzi lo sguardo verso la finestra. E li vedi.

Li guardi. L’espressione sui loro visi sono l’immagine di un segreto. Da non raccontare a nessuno. E continuarli a guardali. Una mano tra i capelli, finché li afferra forte. La testa indietro, alza il volto e ti specchi. Sei nei suoi occhi. Vi guardate e leggi tutto quello che passa nel suo sguardo. Afferri i suoi pensieri. Sono i tuoi.
I suoi gemiti, sono i tuoi. Finché i capelli scivolano ancora. Non lo vedi più quel volto. Ti passi una mano sul viso. Profuma di basilico.

Notti. Che ti fanno svegliare strana.

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Prendere fiato

Mesi strani. Come gli uccelli in gabbia di una canzone sentita qualche giorno fa.
Sconclusionata vita. Che una conclusione però avrà.
Intanto osservo come tutto cambia. Vedo crescere l’uomo in casa. Cala il suo caotico disordine: si prepara ad una sua vita. E io fatico, a volte, a pensare che sia stato anche piccolo. Che avesse bisogno in tutto e per tutto di me. Ora sono io che a volte avrei bisogno di lui. Ma non glielo dico.

Pensavo che il peggio potesse ad un certo punto avere anche una fine. E si vede che sto giro la sfiga m’ha arruolata per una serie ad epidosi illimitati.
Dormire sempre meno, ma trovo la scusa che è la stagione. Che l’estate m’ha sempre resa nervosa, togliendomi minuti e ore di sonno. Gli occhi non si chiudono. Mi giro su un fianco e guardo fuori. Solo tetti. Mi manca quell’abbraccio di panorama che mi fa sospirare. Che il peso dal petto anche te lo leva. Giusto una frazione di secondi, ché il 9no tornante mi cambia la visuale e mi pare lo schermo di alberi e foglie.
E torna tutto.
Più nervoso. Più agitazione. E non sempre riesco a scrollarmele di dosso.
Ho messo la testa sotto. L’acqua era come piaceva a me. Né calda né fredda. Giusta. Aprendo gli occhi ho afferratto la sabbia. Tutto è diventato torbido. E sono risalita. Sù. A riprendere fiato.
Ho guardato la linea. Mare e cielo. Non si fondono.
Mi ero ripromessa ‘mai più’. Ma il mentire a me stessa, mi viene fin troppo bene.

Diglielo

Giocando a far la donna, sui tacchi. La vedi come è incerta? Ma le è andata bene, ha infilato il braccio in quello di lui, andandosene tranquilla. Lo vedi lo sguardo di lui? Quel mezzo sorrisetto, mentre gli occhi brillano tutti?
Ho visto la dolcezza in quel frangente. Mi è sembrata di averla vissuta. Io al posto di lei, lui al posto suo.
Una pienezza come poche volte capitano. Anzi no, capita sempre nei primi attimi. E allora mi chiedo se lei sia consapevole di quanto stia vivendo. E’ la magia dei primi incontri.
Quelli fatti di buone maniere, di tempi dilatati, dove la fretta viene lasciata ai margini.
C’è tanta leggerezza in questa coppia, come la manica di camicia di lui arrotolata, appena al di sotto il gomito.
Ci vorrebbe giocare lei, col dito, a seguirne la vena sotto la pelle di lui. Ma non mi viene di farlo.
Seduti ad un tavolino, in mezzo a tanta gente, ma ascoltano solo se stessi. Mi sembra di viverla, ma per pudore allontano lo sguardo, lasciandoli nella loro intimità.
Perché so che poi si alzeranno da quel tavolino, si incammineranno, lei che si ferma di botto in cerca di quel telefonino che squilla invadente. Sta masticando parole, brontolando con se stessa perché non lo aveva messo in silenzioso. Ma smette di cercare a casaccio nella borsa, perché sta fissando la sua di pelle ora.
Osserva i puntini, come stesse rabbrividendo, ma non ha freddo. Sono stati pochi secondi, tutto è stato veloce. Lui si è già scostato, ma lei sente ancora il tocco caldo di quel bacio sul collo. La mano di lui, che prima aveva scostato i capelli ora sta sulla spalla. Ma lei è rigida: non ha coraggio di girarsi. E il braccio torna a riempire lo spazio tra loro due.
Ancora non mi viene di farlo. Non ho fretta, sto sgomberando il campo.
Poto rami secchi o che avevano alcun bocciolo da far fiorire.

Il mattino seguente, quel buongiorno di lui. Ci ha riflettuto lei, su tutto e su niente. Ci sto pensando e dovrei essere quanto più onesta con me stessa. Non con gli altri.
Non è il mio momento, questo. Balle, è che di vivere un impegno, lei intendo, anche se leggero, ora non non le va. Ho capito solo questo.

l4P

Fate piano, state camminando sui miei sogni

Fare l’amore, cercare l’amore. Fare sesso e non cercare con chi farlo.
Lavorare, crescere, vivere e ancora allungare l’occhio sull’altro sesso.
Ma in che modo?

Ogni giorno che passa mi allontano sempre più dall’ideale dell’amore. Mi sto tarando sul concetto che l’uomo che approccia lo faccia per secondi fini. Osservo, ascolto e soppeso.
Resta un mistero la mente maschile, che si palesa in svariate situazioni. Da quello che ha appena caricato la ‘sua lei’ sul treno e sta già al telefono a chiedermi di uscire. Da quello che ha ancora sui baffi il miele della luna e mi manda un messaggio ‘quando ci vediamo’. O il tipo che aspetta d’essere fuori dal mirino della moglie, per cercare di riportare in auge il suo ego maschile “amore, tesoro solo con te riesco ad essere me stesso”. Amore, tesoro, cucciola .. epiteti che ascolto come ingiurie. Non a me, ma al sentimento vero.

E allora, cosa cerca l’uomo? Cosa passa nella sua testolina? Che gli succede al giorno d’oggi? Ho provato a capirlo, ho preso quello che potrebbe essere un ‘due di picche’, per la serie ‘fatti i fatti tuoi’. Ma sono troppo curiosa di capire cosa succede nell’altra metà del cielo.

Per avere una risposta, necessita una domanda. Quindi ho chiesto, ad un soggetto maschile. Non è un’indagine questa, quindi a nulla serve riportare età, peso, stato civile  o quant’altro.  Per comodità lo chiamo Gin.

(Lap) tu, come uomo, come ti descrive nei confronti dell’amore? cinico, disilluso o uno che crede alla storia della sua vita?
(Gin) Secondo te la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio ?Uno che crede alla storia della sua vita? Che vuol dire?

Il primo campanello, che mi ha fatto capire che col mio test non avrei parato da nessuna parte. Rispondere ad una domanda con un’altra domanda: siamo sulla strada dell’elusione. Ma ho glissato e continuato.

(Lap) che non sei un disilluso, che pensi la vita sia  fatta costruendo una storia o relazione ovvero sia, nella tua visione di uomo: ti basti così o senti che ti manca l’altra metà?
(Gin) Posso rispondere con una citazione ?

C’è chi pesca dalle canzoni e dalle citazioni e chi, quelli che a me piacciono di più, attingono dai propri pensieri.

(Lap) sentiamo la citazione
(Gin) L’amore è l’arte più difficile. E scrivere, danzare, comporre, dipingere, sono la stessa cosa che amare. Funambolismi. La cosa più difficile è avanzare senza cadere. Maxence Fermine, Neve, 1999

Ho sbuffato alla citazione. Per me vuol dire tutto e niente, ma è scattato in me quella sorta di “mi prendi per il culo? E io insisto”. So che dovevo troncare, ma ho continuato, pur sapendo di ricavarne poco .

(Lap) e tu ti senti artista?
(Gin) No. Un funambolo. In tutto in realtà. Mi piace stare sul filo

Lo scuseranno generazioni di funamboli, che hanno dedicato la loro vita a quella che è un arte. Ma ascoltiamo il resto della spiegazione

(Gin) Artista è troppo generico. E non sono un artista nell’amore nel significato che i più danno al concetto di artista. Il funambolo mette in preventivo la caduta Altri artisti se ne stanno comodi sullo scrittoio o sulla tela. Non temono di cadere.  E hanno una visione distaccata … il funambolo ci sta dentro.
(Lap) ti piace il rischio?

(Gin) Certo. Che gusto c’è sennò ? 

Non sopporto quando le persone cercano di portarmi via dal mio obiettivo. Perché poi ci sono persone che sanno che ci sguazzo nei giochetti mentali. Quindi.

(Lap) per rispondere alla mia iniziale domanda: credi nell’amore?

(Gin) Posso rispondere solo quando arriverò dall’altra parte della fune. Se mai ci arriverò. Resta qualcosa di ignoto. E non credo a ciò che non vedo. E non sento

L’allegra conversazione ha retto qualche altro minuto, ma non ha portato altro che potesse servirmi.

Di tutta la chiacchierata mi è rimasto il concetto di fune. E se un giorno si spezzasse? Mi sono chiesta se per davvero l’amore possa essere una fune. Lascio Gin ai suoi allenamenti con la fune.

E mi chiedo: cosa spaventa l’uomo? E’ colpa della donna, troppo forte, troppo emancipata? Che il ruolo della ‘mammina’ non lo vuole recitare, nei confronti di quell’uomo che dovrebbe essere la sua roccia e non il suo bambino?

L’uomo, credo, cerca la stabilità. Ma chi non la cerca. Vorrei al mio fianco un uomo che non abbia paura di me. Della mia personalità, dei miei spazi personali, dei miei silenzi. Vorrei al mio fianco un uomo che sappia arrangiarsi, che non crolli al primo scossone.

Poi esco, mi guardo attorno e vedo una rappresentanza del mondo femminile che mi fa storcere il naso. Troppo aggressive, moleste con l’educazione stessa. Non mi vedo in quella fetta di donne. Fighe da paura di fuori, ma vuote dentro. Più il capello è tirato e l’occhio è truccato, più la loro figa è di legno.
Guardo poi la rappresentanza maschile: la vedo succube dell’essere femminile. Tutto giro attorno al volere di ‘lei’. Vedo uomini che tremano leggermente se perdono quell’attimo di attenzione che si erano conquistano dalla tipa.
Stanno lì ad attendere il nuovo cenno. Li guardo e li vedo sperduti, come fossero in mezzo ad un deserto in cerca di un’oasi, con la paura di morire.

E infine guardo me stessa. Sogno l’amore, mai ad occhi aperti e alle persone che si avvicinano a me, voglio dire: “Fate piano, state camminando sui miei sogni”.

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Vostro Onore, siamo tutti innocenti

Quando si fa qualcosa di male (pur avendone coscienza) alla fine ci auto assolviamo.
Parlo ovviamente dei micro reati personali che si perpetrano quotidianamente.
Quindi chiamata in causa, so che posso percorrere il corridoio di un’aula qualunque: può essere la tua vita, quella dell’amica, del conoscente di turno..
Lo farò zitta zitta, a testa alta, sguardo serio  e rotelle del cervello che lavorano accumulando straordinari.

Solo il rumore dei passi.

Ma non con lui, che mi conosce come pochi possono..
(lui)sei in piena sfida con te stessa
(io) non so, ora come ora forse si
si pranza assieme, mi passa una fetta di pane e quando io la prendo, lui la stringe e così si spezza..
(lui) stai mettendo in campo il lato peggiore che potevi assorbire da tuo papà
uno schiaffo al viso mi avrebbe fatto meno male
(io) no, sai che non voglio esser così
(lui) ma sei oltre a lui, lui coi paraocchi, tu no
(io) non posso cambiare nulla e lo sai
(lui) e nulla dobbiamo cambiare, io sto bene ora così, anche se a volte pensarti mi monta la rabbia
(io) lasciamo stare occhei?
(lui) c’è il dolce se vuoi
certo che lo voglio e mi conosce così troppo bene che è inutile che finga e lo mangio, soddisfatta.

Lui sarà l’unica persona (credo) al quale mi concederò di chinare un po’ il capo, perché nemmeno io posso dimenticare
(lui) ma mi vuoi ancora bene?
(io) mai ho smesso di volertene e lo sai
è il motivo per cui ho girato al largo da te, anche quando avevo paura e tu potevi aiutarmi.

Paradossalmente lui mi ha fatto capire che molte cose, successe “dopo lui”, sono imputabili a me: alla mia smania di essere, di correre, di assimilare, di pretendere troppo.
Ma su un punto mi ha sempre dato man forte: il mio lavoro. (lui) “sei tagliata a fare tutto quello che vuoi nella vita”
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Ma la soddisfazione a volte non mi basta: annuso il di più e lo inseguo.
Mi guida la sensazione, quella che mi fa avere la certezza di una soluzione che metta i brividi.
Finora Intuito m’ha guidata bene.
La paura mia più grande? Perdere sto fiuto e la capacità che ho di assimilare gli stati d’animo delle persone.
Perché maggior parte delle volte, la soluzione me la offre la contro parte: leggo il suo comportamento e capisco cosa vuole.

E capisco cosa posso ottenere. Altra mia paura grande: e se tutti questo un giorno non mi bastasse?
Mi resterebbe solo il rumore dei miei passi.