A ruota

Altro che.

L’attuale premier in carica ha detto in questi giorni che “l’Italia non è il Paese dei Balocchi”.

Altro che, in Italia si può..

-fare sesso al parco, alla luce del giorno, confidando d’aver un pubblico di grandi e piccini: una sorta di sex educational in real time, così ti risparmi i sudori a smanettare su canali porno, dove son più falsi delle seimila lire (sigh). Siamo diventati una sorta di resort “nudi e crudi”, dove ogni singolo Adamo&Eva è libero di praticare l’amore.

-metter piede nel suolo nazionale, senza alcun documento di identità etc: dopo aver visto il programma Airport Security, dove una donna ha preso 120 $ di multa perché non aveva dichiarato le due banane che aveva avanzato dal pasto offerto in volo, oppure se non dichiari l’intento per cui vuoi entrare in quel Paese, ti ritrovi imbarcato sul primo volo, dopo poche ore… Ecco dopo aver visto questo…Non so decidermi se sono troppo cattivi loro o troppo buoni noi. Ma non mi torna sta cosa.

-intascare soldi pubblici per lucri personali, venir scoperti e  ti fanno (poco) o nulla. Ti puoi fare anche delegittimare, ma se stai sotto la giusta ombra politica diventi intoccabile. Viceversa rendi bambini gli adulti scontenti: prometti loro in regalo una ruspa e hai fatto bingo. Paradosso della vita: altro giorno un noto imprenditore, a capo d’un colosso nella produzione delle macchine agricole (che egli stesso aveva creato dal nulla) ha deciso di farla finita.

Già, oramai non si contano più queste persone che attuano la decisione estrema. Come la donna (incinta) che si è suicidata, pur dopo aver chiesto aiuto al proprio Comune, pur che lo stesso aveva fatto il possibile trovandole un appartamento a “soli 600 euro al mese”. Con che li pagasse poi, era un problema della donna.

A volte, quando entro in un bar, avvicinandomi al quotidiano, mi auguro di trovare notizie insolite, della serie “è stato tutto un bluff, le notizie che abbiamo riportato negli ultimi giorni, mesi, anni.. era solo uno scherzo sociale. Va tutto bene”.

Però lo scherzo è bello quando dura poco.

Sette anni

Di attesa. Non propriamente paziente.

Rewind

maggio 2008 – durante un corso di aggiornamento di lavoro, il tipo che sta seduto a fianco a me mi passa una chiavetta Usb. Con un occhio sto sul relatore, che parla di casistiche e metodologie per esclusione da gare pubbliche. L’altro occhio controlla la mia mano che afferra la chiavetta, la inserisce sul pc. L’ho fatto convinta di trovare le dispense del corso, invece trovo file mp3. Guardo il tipo, non capendo, lui col ditino sposta il mouse su un file.

Questo

Amore a primo ascolto.

2015 –  finalmente, dopo aver ascoltato tutti i suoi album, aver letto le traduzioni dei testi, sognato a occhi aperti-chiusi sulle sue canzoni, usando le stesse come muro sonoro contro i miei pensieri … finalmente, lo vedrò dal vivo. Manca relativa poco, rispetto a questi sette anni di attesa. Ne ho di concerti alle spalle e di tutt’altro (e pesante) genere. Ma lui è il mio paradosso musicale. La voce che fa parlare un’anima. Anche la mia.

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Volenti o nolenti, tutto gira attorno al soldo.

Per un soldo in più…. ti puoi illudere di amare, di voltare le spalle a persone amiche, di stracciare rapporti di sangue come nulla fosse.

Vorrei sapere quante donne, nel bivio d’una scelta, tra un operaio squattrinato e un professionista affermato, scegliessero (davvero) col cuore. Ti ci vedi, tu donna, di qua a tot mesi dalla tua scelta?

opzione operaio squattrinato – spettinata e sudata, dopo una giornata di lavoro, a metter giù la tovaglia sul tavolo della cucina, apri sto frigo, tira fuori due uova, con un occhio controlli l’ennesima bolletta che è arrivata da pagare. Il tuo unico rifugio, le sue braccia, che ti stringono in una morsa d’amore. Vacanze estive, solita spiaggia, solito ombrellone. Un brio di vita quando ti porta a sorpresa a mangiare una sera la pizza. La sera, quando vai a letto, il suo braccio che ti sfiora delicatamente i capelli. Chiamate a buffo nell’arco della giornata, che ti fanno saltellare e sorridere l’anima.

opzione professionista affermato – a seguire le sue nevrosi, a venire sempre al secondo posto (perché al primo c’è il suo cel e le sue chiamate di lavoro), ad aspettare che come sempre, ti sovverta gli impegni presi “stasera non entro a casa, che vado a cena di lavoro”, mentre la mozzarella della parmigiana diventa sempre più gialla e più dura. Come te, in quell’angolo di quello splendido appartamento che tanta gola ti aveva fatto. Nessun abbraccio a fine sera. Vacanze spumeggianti, di quelle che il sorriso te lo devi per forza disegnare sul viso, magari alla fine ti illudi che ti sei anche divertita. Seduta nell’ennesimo locale, a sorseggiare un cocktail di cui non rammenti manco il gusto, con sottofondo la litania, di lui, che inebetisce il vicino di bevuta, con le sue gesta prodigiose negli affari.

E in mezzo a tutto, in qualunque opzione, ci stai tu, donna, che puoi e devi fare la differenza. Foss’anche rappresentata da un sonoro fanculo, o da un gioioso ti amo.

immagina tratta dal web

A volte mi basta poco

Come ad esempio il messaggio “Eliminare in blocco?”

Sì!

Cancellate così 287 email che manco avevo letto. Perché diciamocelo chiaro, quando mai  (nella realtà) avresti duecentottantasette lettere nella tua cassetta della posta? Il virtuale sfanga (a volte troppo) i limiti della decenza.

Come per i cellulari: chiamate illimitate (dicono loro per venderti ogni ben di dio), ma dovrebbero metterci il sottotitolo “limitati negli orari”. Così ti trovi, di fatto, il cel che vibra a orari non canonici. Sempre libera, ovviamente di non rispondere. Cosa che faccio anche in orari normali. Odio la dipendenza da questa scatoletta di sardine elettronica.

immagine tratta dal web

Discorsi familiari

Già di mio ho idee confuse, di più ancora se mi metto a seguire un tg nazionale. Sinceramente? Non ne posso più di sentir parlare di migrazione, pseudo profughi, crisi, destra qua e sinistra là. Molto ancor sinceramente, posso dire, che viviamo in stato di propaganda, dove i soliti visi noti della politica, prendono per il culo noi. Sinceramente, ancora, non ravvedo differenze politiche di partito, seppur dotati di slogan così dissimili tra loro, perché spenta la lucina rossa dell’ennesima telecamera televisiva, cambia nulla. Domani sarà come oggi, se non peggio. Sinceramente? Col governo attualmente in carica, si rompono così tanti limiti: della barzelletta, dell’incapacità. Sensazione atroce che giorno dopo giorno mi fa sentire fortemente presa in giro. Non che sia una novità, perché è una cosa che sistematicamente si presenta con ciascun governo in carica (d’altronde, mica si posson accontentare tutti i cittadini), ma con questo governo (ndr di Renzi), la demoralizzazione mia personale in fatto di politica, è alle stelle. Ho tentato, davvero, di seguire qualche notizia in merito al family day. Perché sono cresciuta in un modello sociale e classico di famiglia, io stessa ho generato un modello così. Ma, non mi ci sono ritrovata nell’intento della manifestazione di ieri: ho percepito lotta e non amore, chiusura e non sviluppo, ideologie che fanno avvizzire e non germogliare. Siamo nell’era della condivisione a tutto campo no? La rete sponsorizza questa tendenza, lanciando ogni essere umano alla globalizzazione. Sembra che ogni cosa sia sancita dalla rete, sia legge, sia bello, sia giusto. Pullulano in rete, pure gli orchi, persone che tentano (e ci riescono) purtroppo a metter mano su ciò di cui più caro, una famiglia ha. I figli. Il patrimonio d’ogni famiglia. Ora, o son torda io (probabile), ma non ho ancora visto una manifestazione in piazza, di famiglie, in lotta per questo.

immagine tratta dal web

Sdoganiamo a modo mio

Da sempre, mi stanno allegramente in culo, le fighe di legno.

Lo so, a volte, chiedo fin troppo alle persone, ma non pensavo che mettere in fila i neuroni e produrre pensieri e azioni sensate fosse cosa improponibile. Mi accorgo, purtroppo, che è così.

E poi, diciamocelo, la figa di legno te la de devi conquistare sul campo. Come? Basta guardarsi attorno, la mattina, che passeggi di fretta (consapevole che stai conquistando il tuo ennesimo ritardo al lavoro) e hai una voglia tremenda di un caffé, entri al bar, ordini, bevi, tenti di andare alla cassa a pagare ma.. eccola, lei, baby perfetta staziona avanti a te, non sa che pacchetto di brooklyn prendere. Penso pure io che la giornata mi potrebbe andare storta se le mie otturazioni dentali non venissero solleticate dal giusto gusto della gomma da masticare.

Ma entrando nel concetto vero della figa di legno, sappiamo tutti che questo essere bipede, prevalentemente di sesso femminile, è colei che mai te la darà. A te ovviamente, in pubblico. Perché in pubblico ti fanno avvicinare quel tanto che basta a loro, per poi voltarti le spalle al minimo tentativo di approccio.

Occhei, ci sta: ognuna è padrona della propria vagina. Ma a che pro sbandierla, col ditino mignolo alzato (si è snob anche qua) per poi calare un due di picche?

Le vedo, loro, durante le mie uscite: fighe, vestite a modo, truccate bene, smalto giustissimo. Le riconosci lontano un miglio: cocktail in mano (che perdurerà per tutta la serata) e bocca a culo di gallina. Ma la solarità l’avete rinchiusa nella vostra micro borsetta ascellare? Le vedo, quando vengono approcciate da un uomo: vedi lui che avanza, baldanzoso o timido o spaccamondo, non importa, tanto lei, ce l’hai scritto in faccia “non te la do”.

Cosa spinge l’uomo a provarci? Per avere la giusta motivazione di etichettarla? “Quella è una troia, perché non me la”. Eh no, baby, non ci siamo, se la desse a te, al tuo amico, al tuo compare, allora sì che sarebbe una troia. E’ inutile che ti affanni. Quelle che te la danno e poi ti sbattono la porta in faccia, si chiamano con altro termine, molto figo nel momento in cui lo pronunci, ma molto (molto) vero e pesante. Bitch. Ma una Bitch è molto altro, è un mondo a sè.

E vi assicuro, cari uomini, che nel vostro quotidiano incontrate più Bitch che Fighe di Legno, solo che non ve ne accorgete. Perché vi piace farvi abbagliare. Vi lasciate prendere in giro dalle apparenze tipiche della FdL, mentre la sostanza della Bitch riuscite a concepirla solo se ci sbattete il muso. E se casomai vi fratturaste il nasino, sarebbe solo perché la Bitch lo ha voluto e non voi.

Carità

Cresciuta in una terra, dove la religione stava incollata alla pelle, come l’alga fastidiosa di un mare sporco.

Eppure non odio la religione che m’è stata affibbiata fin da piccola, eppure non la pratico. Perché trovo inutile sdoganare una cosa, se di fondo, in sta cosa non ci credo. Ma certe volte, hai dei momenti involontari di crisi, l’abitudine vecchia che è in te, ti fa rivolgere un insieme di parole rivolte a sta divinità che non c’è.  O c’è?

I cori delle bestemmie sono aumentati, sono un gergo di uso così comune, ma: perché? Che senso ha? Come chi rivolge una preghiera, tanto quanto chi bestemmia, nulla avrà, se non ci crede o se rifiuta il credo, no?

Sono giorni, mesi, tempi, di così poca carità. Tutti racchiusi nel proprio momento personale, duro o meno duro che sia, a volte così felici di vedere chi sta peggio di noi. Perché finché soffri tu, non soffro io.

Sta aumentando il popolo dei buonisti, in quale Credo non so, eppure tutti così bravi a spendere due parole per i meno forti, per coloro che perdono, per coloro che sentono inferiori a se stessi.

E’ questo essere caritatevole? Fare proclami pubblici, con foto di bimbi piccoli, sofferenti.. palesare la propria attitudine verso i più deboli, sprecare un pensiero verso le loro sofferenze. Ma poi? Spegni il pc, soddisfatto del tuo scritto, di quanto sei stato partecipe al loro dolore, tramite due o tre o quattro frasi strappacuore, te ne torni a casa e ti ingozzi di cibo e alcol fino al vomito?

Pensavo che la carità fosse implicitamente silenziosa. E vera.

Penso sempre male, credo. immagine tratta dal web

I mulini a vento

Percorri un sentiero, lo fai a testa china, ti credi sola, finché senti stringere la tua mano, sollevi lo sguardo, ne sei felice, riguardi il sentiero e di fronte a te vedi mulini a vento.

Riguardi la tua mano, nuovamente solitaria.

Chini la testa e prosegui e rifletti.
Dove hai sbagliato? Come?

E la testa ti si riempie di frasi che ti sono state dette “tu non hai .. tu dovevi.. tu”.

Ma le tue di cose che avevi detto, le tue richieste?

Da qui si riparte.

foto di Mimmo Di Giuseppe  google.com/+mimmodigiuseppe

Italia cuor di leone

Abbiamo un’Italia divisa, lacerata in due.

Perché nulla può più di una partita di calcio nello smuovere le opinioni della gente: mezzo popolo che piange la sconfitta della Juve in Champions, mal sopportando gli sberleffi dell’altra metà della nazione. Ovviamente la seconda metà sta felicemente gongolando.

Tutti arbitri, allenatori tecnici e giocatori improvvisati.

Tutto questo fervore, magari,

ci stava meglio su cose ben più importanti: che ne so, discutere e ridiscutere su un voto politico che, anche se non ti cambiava la vita, ti dava modo di essere partecipe in modo consapevole della tua storia.

Siamo un popolo, così dicono: eppure dovremmo essere un esercito che non trema  mai. Il nostro tremore lo curiamo con le distrazioni.

Alziamo la voce, nella maggioranza dei casi, solo per per far intendere al prossimo che noi abbiamo un’idea. Magari poi, quando non ci ascolta più nessuno, ce ne torniamo a casa, dimenticandoci perfino di cosa abbiamo strillato fino a poche ore prima.

Ci si indigna, ai nostri giorni, come non mai. Un tempo (credo) i nostri genitori o i nostri nonni, si arrotolavano le maniche e si davano da fare. Oggi, il maggior movimento che eseguiamo, è quello di allungare il braccio destro e puntare il dito.  Verso gli altri, i cattivi, quelli che non capiscano, quelli che non pensano come noi.

E ci rintaniamo la sera, nelle nostre casette, aprendo la porta, pulendoci col dorso della mano la bava dalla bocca. Chiudiamo la porta e ci consoliamo nella solitudine della nostra tana.

Di conigli.