Mai rubare in casa dei ladri

Col mignolo sposto la tazzina di caffè. Troppo vicina al cel, troppo forte la tentazione di riempirla ancora. Ho bisogno di ricordare cosa ho fatto nei giorni passati. Tic toc, le lancette vanno avanti ma la mia testa sta ferma.

Un mese fa. Stavo accucciata a terra con un panno in mano e pulivo sto pavimento. Ho rovinato una tenda, beh forse la colpa è più della lavatrice che mia, ché l’ha accorciata di un bel po’. Fa nulla. Quella tenda non è mia e non mi interessa se adesso sembra la gonna di una mignotta che se va in giro con le mutande di fuori.

Un mese fa. Avevo caldo, c’era il sole e la pella era già diventata un po’ nocciola. Ma che dico nocciola, meno. Un mese fa c’era quell’inquietudine dentro che ancora non se ne vuole andare. In questi 30 giorni ho litigato, mi sono trovata con le spalle al muro, ho messo carne al fuoco e ad essere sincera non credo ne sia valsa la pena.

Ogni giorno faccio le stesse cose. Sveglia alla stessa ora. Anzi no. Mi sveglio sempre prima che dal cel parta quella musichetta fastidiosa. Sono nervosa. Ma so che devo avere pazienza. Pescare da quel secchio di calma che sembra sempre più vuoto e dirmi da sola “aspetta, stai buona”.

Becchime per galline. Questi i pensieri che mi frullano per la testa, che cerco di tenere a bada. Come? Sto tornando ad una mia vecchia abitudine: leggere. Libri. Ma scelgo sempre quelli dove male e crimine svuotano le penne di molti scrittori. Perché mi piace quel lato oscuro dell’umanità del quale io so di non fare parte. Per cordadia, perché troppo abituata sin da piccola a rispettare le regole. C’è una frase in particolare che non mi lascia: “mai rubare in casa dei ladri”. Mai, non si fa. E’ peccato, ne esci con le ossa rotte.

Ultima riflessione. Superbonus e 110. Una manovra fiscale (e sociale) sarà tale solo quando democratica. Invece il concetto di ‘popolare’ è stato fottuto appieno.

Scollati

Sono compressa. Da situazioni altrui, da attenzioni che hanno meno durata di quel famoso vasetto di yogurt in scadenza. Sto acquisendo l’abitudine di dare risposte prendendo il mio tempo. A volte proprio non rispondo.

Qualche giorno fa avevo l’occasione di rivedere una persona. A me molto cara. Che un tempo (forse) mi fece anche innamorare. Oppure credevo di esserlo, perché l’amore quello che ti fa sentire uno splendido gioiello anche quando sei solo bigiotteria (forse) devo ancora incontrarlo. Non ho mai avuto il bisogno di sentirmi dire ‘sei bella’ o ‘sei unica’. Perché quando mi viene detto mi scogliono al massimo: soliti medesimi appellativi che vengono riproposti alla donna di turno. E io turnista dei sentimenti non l’ho mai voluto essere o fare.

Comunque, dicevo: ho avuto l’occasione di poter rincontrare sta persona. Non sono andata all’incontro, non per via del lavoro che potevo anche programmare in maniera diversa, ma perché dentro di me non c’era quel guizzo che mi facesse muovere il culo.
A qualche ora dall’appuntamento cannato ricevo la sua telefonata. Una conversazione semplice, fatta tra due persone ora mature. Dall’altra parte non sento nervosismo , anzi. La sua voce era la manna che mi serviva quel giorno. Ritrovando una sorta di complicità, tarocca o vera che sia. Ci siamo ripromessi di vederci. Basta che non si viaggi sul passato. Il suo dire: “eri tu la persona giusta” non mi tocca più. Sono passati non so quanti anni da quando quello che c’era tra noi s’è frantumato. Per colpa di nessuno e di entrambi. Eravamo due calamite, ma i tempi non erano quelli giusti. Punto.

E riconsidero allora cosa sarà il mio domani. Se avrò ancora la voglia di rimettermi in gioco. E’ così snervante ricominciare. In più mi sta piacendo il mio essere senza alcuna persona a fianco.

Potevo andarci a quell’incontro. Sarebbe stato una sorta di appuntamento dopo un’estate che ho vissuto in un modo che non avrei pensato di vivere. Doveva essere un’estate da passare in due e invece no.

Ho chiuso un capitolo. L’ho fatto non semplicemente. Ma l’ho fatto giustamente. Passando un’estate come non avrei pensato: allegra e leggera. Libera. Ma ora mi sto innervosendo perché ricevo sua telefonata e messaggio ai quali non risponderò. Che senso ha tutto ciò? Che senso ha coltivare bugie (le sue)? Che senso ha credere in una cosa che non esiste?

Evitate la panacea

Rido, no sorrido. Perché mi accorgo che apro questo blog solo quando fa bisogno a me. L’ultima volta un anno fa. E niente, si vede proprio che io amo il freddo e che l’estate non fa per me.

Sarà sta altalena di meteo, un giorno caldo africano e la notte dopo che devo tirar su il lenzuolo per non sentire freddo ai piedi. Sarà che il caldo mi da’ noia e io divento lamentosa. E per non sentire la pesantezza lascio che la mia testa vada a rincorrere sogni. L’ultimo espresso a viva voce: “voglio andare vivere nel nord dell’Europa’.

Lì dove il sole ti accarrezza il viso senza fastidio, lì dove le nuvole si mettono in coda alle miei giornate ‘no’. Lì dove vorrei stare bene. Punto.

Rewind

Qualche giorno fa ho rivisto una persona che non vedevo da anni. “Sei più moderata”. Così mi ha detto e non mi sono posta il pensiero di chiederle il perché di una frase del genere.

Non sono per nulla più moderata. Sono sempre io. La solita. Che però si lascia andar meno nelle esternazioni, specie se provocata. Qualcosa nel tempo ho imparato: che apri bocca, voglia o non voglia, quello che si dice o viene strumentalizzato, oppure riportato male. Non sopporto il ‘sentito dire’. Voglio essere io la padrona delle mie parole verso qualcuno. Punto.

Bene, finora ho tergiversato. Potrei ora scrivere davvero quello che mi passa per la mente. Ma l’effetto che mi da’ sto foglio elettronico bianco è lo stesso che provai 12 anni fa. Quando vide la luce il mio primo blog: testimone unico di un grande passaggio della mia vita. Grazie a quel blog, credo, ho risparmiato i soldi di un terapeuta. Avrò fatto bene? Avrò fatto male? Boh.

Stavo riflettendo. Vorrei tanto scrivere un qualcosa. Non per me. Ma per gli altri: per evitare loro di fare le cretinate chi ho fatto. Le paure e le arrabbiature che ho vissuto. Le inculate che mi sono presa. Vorrei tanto, ma ancora non ho il coraggio totale di scrivere nero su bianco quanto cretina posso essere. Perché anche se lo so, non è che mi miglioro per il futuro: ci arrivo solo forse un pelo più preparata a certe situazione potenzialmente deleterie.

Quindi

Posso solo dirvi un paio di cose.

  1. se avete dei pensieri, situazioni che non vi portano alla felicità: evitate il fai da te, fatevi affiancare da uno bravo (ma non fategli la villa con piscina)
  2. se avete stessi pensieri e situazioni come al punto 1: adottate il ‘codice del silenzio’ con certe persone che non hanno alcun interesse a sentire i vostri discorsi.

Evitate insomma di farvi dire che siete dei rompicoglioni. Evitate di sprecare energie con persone che pensano solo a se stesse. Evitate di credere alle bugie. Evitate di essere la panacea dei mali altrui.

Evitate, evitate. E ancora evitate.

E che sia bravo

Non scrivo per me o su di me. Parlo di lei che non riesce mai a dire quello che prova, perché quando lo fa ogni cosa viene mistificata da chi l’ascolta.
Oggi l’ho guardata con quell’attenzione che poche volte le ho concesso. Vedo il suo viso, il sorriso che accende quando parla. Ma poi tutto si spegne quando crede di non essere vista.
Fa la parte della cazzuta e della forte. L’ombra scura dello sguardo che assottiglia l’occhio.

E ci eravamo lasciate col tipo che le diceva ‘noi due’, ‘stiamo bene insieme’, ‘compagni’. Ora siamo a ‘sei malata di mente, fatti curare e vedi di dire allo psicologo che vuoi capire solo quello che vuoi’. Ma questo è solo l’epilogo: prima ci sono i fatti.

Quello che vuole lei, me lo ha detto. Insomma ci ha provato: vuole essere considerata.

Rewind, vediamo i fatti (cercando di essere imparziali)

Mi racconta che stavano seduti di fronte a due pizze. Lui mangia, lei con la forchetta sposta la mozzarella. Il mutismo pesa sulle portate. Non si parlano perché lei ha protestato. Lamenta che sono in viaggio e già lui pensa al domani, ‘tornare a casa prestino’ le fa. ‘Perché?’ chiede lei e continua ‘ti devi vedere con gli amici?. ‘Sì’ risponde lui. Quindi lei vede il giorno successivo (l’ultimo del viaggio fatto assieme) smozzicato a riportarla a casa che poi deve correre dagli amici.

A vederla così sembra nulla. Ma lei sente delusione, amarezza.
Si alzano dal tavolo della pizzeria. S’incamminano: lei avanti verso la strada dell’albergo, lui dietro. Giunto all’angolo le dice: ‘se hai problemi non so cosa farci’ e prende un’altra strada. Lei va in albergo, sale in stanza. Poco dopo arriva anche lui e parte la discussione. Con lui che reclama la sua libertà, con lei che recrimina del venire ‘sempre dopo’. Le solite discussioni, insomma. Poi lui ‘mi ha rovinato il we, sei malata di mente, fatti curare’.

Lei che sente dentro qualcosa che davvero la fa impazzire. Dopo tre anni passati con lui, coi suoi tempi, coi sui impegni, lei è la malata di mente. Dentro le si spezza qualcosa: in quella stanza con lui non ci vuole più stare. Si veste e vuole andarsene. E’ l’una di notte. Lui che dice ‘se vai via tu, vado via anche io’. Lei vuole stare da sola, non con lui. Lui alza la voce, lei pure. Lui le dice di restare e che ad andarsene sarà lui. Ma lei è già sulla porta della stanza, la apre, sta uscendo e sulla schiena sente arrivare una botta dura: è la mano di lui, pesante e violenta. Lei si trova fuori, sul marciapiede e cerca la stazione con un treno che partirtà solo la mattina dopo.

Che la mia amica abbia bisogno di un supporto è indubbio: per ricomporre tre anni di vita spezzati dall’ego di lui.

Andare via per tornare a me

Sbuffo. Mi tocco i capelli, tiro una ciocca e penso. Penso che voglio andare avanti da sola. Perché che il vivere senza sincerità mi irrita. E lo sottolinea una che della non verità ne ha fatto lo stile di vita.

Che fare di un bugiardo patologico? Che apre bocca e sputa l’ennesima boiata già sapendo che io non gli credo. Non ci si fa il callo a sta roba. Lo si lima ogni tanto, ma estetisti dei cazzi altrui mica lo possiamo fare per una vita intera.

“Noi”. “Compagni”. “Sto bene con te”. Mi sono sentita ripetere fino al vomito ste cose in sti ultimi giorni. Io seduta a riccio sulla mia seggiola. Lui al di là del tavolino. In mezzo a noi due birre, con la mia che avevo voglia di lasciare là e andarmene.
Andare via per tornare a me.

nata 3 volte

La prima, il 18 ottobre. Quando mammà mi partorì. E l’unica risposta, che mi sono sempre sentita dire, quando chiedevo ‘com’ero?’, è sempre stata: “non hai aperto gli occhi per tre giorni, pensavamo che avessi dei problemi”. Un racconto più asciutto della mia nascita non potevo desiderare: sarà per questo che nella vita ascolto e sollecito le persone a raccontarsi a me.
La seconda, l’8 dicembre. Di qualche annetto fa. Sono andata a vivere da sola, mettendomi alle spalle una vita di coppia nata quando avevo solo diciott’anni.
La terza, e ultima per ora. Il 12 settembre dell’anno scorso. Nove mesi fa. Sul letto di un ospedale ho realizzato quanto scema posso essere. A non chiedere aiuto. A volerci andare da sola al pronto soccorso, anche se avevo passato una notte d’inferno. I dettagli sono noiosi e quindi li evito. Ma lì mi sono sentita così piccola e impaurita. L’importante è che sia passato e che quell’ischemia resti solo una piccola parentesi di quella che, così voglio, dovrà sempre essere una grande vita.

A volte, fisso il nulla e mi chiedo: quando ancora il mio culo toccherà questa santa terra e mi rialzerò e rinascerò? Non vorrei che qualcuno mi avessi scambiato per un gatto perché, se la matematica non è un’opinione, me ne restano ancora 4. E io delle montagne russe vorrei anche fare a meno.


Vi vengo a cercare eh

Ci sono mattine che mi alzo dopo una notte passata a pensare. Forzatamente, ché fatico a dormire. Eppure quando caccio i piedi fuori dal letto sento una spinta d’adrenalina pazzesca lo stesso. E aspetto questo momento ogni momento.
Vivo la giornata, tra lavoro e .. e quello che c’è poi. Ma aspetto quel momento della mattina come una boccata d’aria vitale. Perché sono solo io. Tutto intorno dorme, fuori quel buio che così scuro più non è. Ma che è ancora in grado di regalarmi un oblio che evapora appena esco di casa.

Ho una voglia pazzesca di vedere persone che sono anni che non le tocco col mio sguardo.
Roma. Per tornare in quell’abbraccio che mai chiede e tanto mi ha dato.
Lecco. Per quegli occhi che sanno scrutare la mia anima senza che io lo voglia. E non mi giudica.
E infine Domodossola.

Ho bisogno di rivedere quelle persone che fanno parte della mia vita, da quando sono nata la seconda volta in poi.

Poche ma buone, sono valvole

Sono uscita di casa. Di corsa. Domenica mattina, con le unghie incrostate di farina.
Doveva essere una mattina di relax. Niente lavoro, bighellonare per casa, sfanculando ogni buon proposito. “Oggi faccio questo e questo. Poi ancora questo”.
L’armadio non l’ho volutamente minimamente toccare (che mi frega del cambio di stagione: dimentico ogni mattina la giacca pesante). Ma una cosa ero riuscita a farla: cominciare ad impastare gli gnocchi con la zucca. Un mezzo fallimento. Troppa acqua e, di conseguenza, troppa farina. Un impasto che non voleva sapere di essere. Mi ha ‘salvato’ una telefonata, “è un’emergenza, puoi venire?”.
Cinque minuti. Non di più. Stavo già fuori di casa: l’impasto molliccio in frigo, il piano di lavoro pulito in fretta. Mi accorgo che mi restano delle croste di farina e zucca attorno alle unghie. Me le ‘ciuccio’ finché cammino in fretta.
Trovo la persona che mi ha chiamato e “che succede?”. “Niente, volevo solo tirarti fuori di casa”.

‘Na boiata direte. Sì, na boiata. Ma non importa. Perché a quelle tre persone che nella vita mi hanno dato, senza pretendere, io do. Mi chiamano? Vado. Mi sfottono? Sorrido e m’incazzo e poi sorrido ancora.
Ma sono le uniche persone che non mi manderebbero a quel paese se chiamassi di notte. In preda alle mie paturnie, o perché non riesco a prendere sonno.

Sono cresciuta col rispetto. Per gli altri. Mi è stato inculcato a forza in testa.
Rettifico
Sono cresciuta col non dovere chiedere troppo agli altri. Mi è stato inculcato che se chiedi poi devi dare il doppio.
Ma poi capita che le incontri ste persone. Giuste per me. Che se c’ho voglia chiamo quando mi pare. Che se capita manco mi faccio sentire per giorni. Loro, io, ‘stiamo la’. In quella zona mai definita, non rappresentabile che potrei chiamare ‘sicurezza’: valvola o ancora. Fate un po’ voi.

Ho volato sopra le nuvole

Ho volato sopra le nuvole. Seduto alla mia sinistra un ragazzo, alla destra il corridoio. Rulla veloce e chiudo gli occhi: mi piace appisolarmi quando è così.
“Speriamo vada tutto bene”. La voce esce dalla bocca del ragazzo.
Apro gli occhi, mi giro a guardarlo. Sorride un po’ nervoso mentre afferra lo zainetto che ha messo sotto al sedile davanti. Tira fuori un panino che divora in poco tempo. Poi una banana.
Intanto siamo sù. Inclinati andiamo ancora più sù e penso che morire con la pancia piena non dovrebbe essere poi così male.

Finalmente penso di essere riuscita a sonnecchiare per davvero. Mi sveglio sballottata. C’è turbolenza. Mi sveglio credendo di essere su quella giostra a Gardaland che mi piace tanto. Mi sveglia il rumore di una bottiglietta d’acqua, con la plastica quasi stropicciata, vicino al mio fianco sinistro.
“Devi allacciarti la cintura”. Sempre la bocca del ragazzo che emette un suono preoccupato.  Allaccio la cintura e cerco di chiudere gli occhi. Ma penso alle fobie.

Tutti abbiamo le nostre paure. Chi non riesce a mascherarle, chi sì invece.
Penso alle mie. Una lunga lista, che puntualmente aggiorno.
In cima, in vetta, sempre lei. La paura di soffrire. Sia fisicamente che emotivamente.
Apro gli occhi e punto quella testa, di qualche sedile più avanti. Lì la fonte di quella può essere la mia gioia o il mio dolore.

Ho vissuto una vita fatta di troppe paranoie. Pensando e ripensando ad ogni mia precisa mossa da fare, sempre col dubbio “ma se facessi questo, al posto di questo? cosa accadrebbe?”.

Ora basta. volo

Scopa con un’altra, ma vuole lei

Falla un’esperienza diversa. No, non insolita. Diversa. E allora una sera ti ritrovi attorno ad un tavolo. C’è allegria. Si ride anche per nulla.  Chi fuma, chi beve.
“Ma perché non saliamo, andiamo a veder cosa c’è?”. I piedi sui gradini mi portano su. Un pianerottolo circondato da un muro. In mezzo una finestra così grande che lo spettacolo lo prende proprio tutto.
E mi metto con la fronte sul vetro. Mi perdo a guardare le lucine che ci sono giù. Perché così non le sento le bugie che mi sta dicendo. Odio quando mi mentono.
Mi fanno diventare quella ‘forte’ che non sono. Reagisco male quando non mi si raccontano le cose giuste.
“Ho scopato con un’altra”. E va avanti. Dicendo che l’ha fatto perché era triste. Perché io ero via. “Coi tuoi amici, che non mi presenti”. Balle su balle. Ma sono frecciatine che mi tormentano.
Che sia andato a letto con un’altra non mi importa. (Sì, mi importa). Mi ferisce che me lo dica. A che pro? “Se è così, puoi scoparci quanto vuoi, finché vuoi. Ma con me hai chiuso”.
Solita frase. Da donna arrabbiata. Che non vuole nemmeno ammettere quanto male le faccia la situazione. Tutta la situazione. Non solo la scopata di una serata.
Ma il non essere per davvero ascoltata. Poi mi si dice che divento sempre più cinica. Quanto mal capire. Non lo sono, ma lo faccio.
Perché dentro di me, credo alle storie belle. Non dico alle favole. Quelle posso scrivermele da sola. Non con terze persone.

E ora, che si fa? Che fareste?
Curiosa di capire le varie reazione.
Sempre vostra LaP

trovane una che